Cassazione: Anche l'investigatore privato può
essere condannato per violazione di domicilio.
Spesso quando tra una coppia si insinua una crisi
la prima cosa a cui si pensa e' che l'altro abbia un amante. Così ci si
improvvisa detective cercando di spiare tutti i movimenti dell'altro, cercando
di leggere i messaggi sul telefono, controllando il numero di chiamate in
entrata o in uscita oppure leggendo corrispondenza come le email. Ma tutto
questo indagare e' assolutamente vietato perché costituisce violazione della
privacy dell'altro coniuge.
Anche intercettare con delle microspie o
registrare delle conversazioni all'interno del domicilio costituisce un
illecito, quindi, e' una cosa che non può trovare giustificazione alcuna.
Il coniuge che abbia dei sospetti sulla fedeltà
dell'altro può rivolgersi ad un investigatore privato ma lo stesso comunque
deve attenersi a delle regole ben precise.
E' illegale, infatti, effettuare delle
riprese in ambienti interni anche se il proprietario dell'immobile ha
prestato il consenso per piazzare le telecamere; questo e' quanto ha stabilito
la Corte di Cassazione qualche tempo fa con la sentenza n. 9235 dell'
08.03.2012.
Il caso di cui si è occupato la Corte vede come
protagonista un investigatore privato che in primo e secondo grado era stato
condannato per aver ripreso e registrato gli incontri amorosi di una signora
nella casa dell'amante.
La cosa più assurda era stata che l'amante( cioè il
proprietario di casa ) aveva dato il consenso all'investigatore di installare
le telecamere e di filmare le scene anche a scopo di produzione in giudizio
cioè consegnando al marito queste prove per finalità processuali.
L'investigatore, nei precedenti gradi di giudizio,
era stato condannato per interferenze illecite nella vita privata e per
violazione di domicilio.
Ritenendo ingiuste le precedenti condanne il
detective ricorreva in Cassazione sostenendo che le precedenti condanne
erano viziate perchè avevano considerato "privata dimora" la
casa altrui ovvero la casa dell'amante.
Secondo la tesi difensiva il consenso dell'amante
(proprietario di casa)aveva abbattuto l'ipotesi della violazione di
domicilio, facendo così venir meno il presupposto penale della «volontà tacita
o espressa di escludere gli estranei» così come prescritto dall'articolo 614
del codice
penale.
I giudici della Suprema Corte, invece, argomentando
diversamente hanno condannato l'investigatore ai sensi dell'articolo
615-bis del Codice penale (interferenze
illecite nella vita privata) e dell'articolo 614 (violazione di domicilio).
Secondo le argomentazioni della Corte chi frequenta
"un luogo di privata dimora anche se si tratta della dimora altrui fa
affidamento, appunto, sul carattere di "privatezza" dello stesso e,
dunque, agisce sul presupposto che la condotta che egli tiene in quel luogo
sarà percepita solo da coloro che in esso siano stati lecitamente ammessi».
Nel caso di specie, l'unico legittimato a «percepire la condotta» era
appunto solo l'amante ; la presenza dell'investigatore,invece, non era stata nè
acconsentita nè tanto meno avvertita dalla signora vittima della violazione.
Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato Roma
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